“CANCRO AL SENO E L’IPOCRISIA DEL ROSA”

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di GIANFRANCO COMPAGNO                                                                                 CRITICHE ALL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI APRILIA                                              SLOW FILM FEST 2020, PRESENTATO DOCUMENTARY:“PINK RIBBONS INC.”

Intervista Laura Vassalli, di Donne di Classe Aprilia, racconta la sua esperienza personale

 “CANCRO AL SENO E L’IPOCRISIA DEL ROSA. IL FRONTE ITALIANO.”

 “Cancro al seno e l’ipocrisia del rosa. Il fronte italiano.” Questo il titolo della diretta Facebook a cui hanno partecipato le attiviste di “Le amazzoni furiose”, “Oltre il nastro rosa” e “Donne di classe Aprilia”, all’interno dello Slow Film Fest 2020 lo scorso 14 dicembre, alla luce del documentario canadese trasmesso in streaming il giorno prima, il 13 dicembre, dal titolo “Pink Ribbons Inc.” (Nastri Rosa Spa, in italiano) sulla retorica del rosa sul cancro al seno, utile a fare profitto, ma non certo a diffondere una informazione corretta e ad avanzare significativamente nella “lotta” contro il cancro al seno. L’intera diretta è visionabile anche sulla pagina dello Slow Film Fest 2020 (https://www.facebook.com/SlowFilmFest/videos/1349021658823565) e sul canale Youtube di Donne di classe Aprilia al seguente link: https://youtu.be/8aeXBdsI7Nw

Ogni ottobre ci si riempie la bocca di belle parole sulla “prevenzione” e la “lotta” al cancro al seno. Anche il Comune di Aprilia ha aderito a questa campagna e acceso un faro rosa che più che gettare luce sul tema, piuttosto acceca e sposta l’attenzione solo ed esclusivamente sulle conseguenze estetiche della malattia, senza dare una corretta informazione su questa malattia e dandone una narrazione rassicurante cancellando totalmente dalla scena le donne metastatiche.

Innanzitutto occorre distinguere il concetto di “prevenzione” da quello di “diagnosi precoce” perché una mammografia non elimina né riduce il rischio di ammalarsi di cancro al seno e la situazione non è così rosea (è proprio il caso di dirlo) come si fa credere.

“Nel momento in cui ero davanti a tutta l’èquipe medica che mi diede la diagnosi di tumore al seno, mi arrivò la telefonata del Cup che mi chiedeva di confermare l’appuntamento per l’ecografia qualche giorno dopo.” Racconta Laura Vassalli di Donne di Classe Aprilia, di cui gestisce la pagina Facebook (https://www.facebook.com/donnediclasseaprilia). “Nel frattempo, però” continua “per abbreviare i tempi, mi ero vista costretta a ricorrere al privato e spendere parecchi soldi per le indagini diagnostiche di approfondimento, che mi avevano portato a fare, dopo l’ecografia, una mammografia, una risonanza magnetica e un ago aspirato per approdare infine alla diagnosi. Solo quest’ultimo esame è stato svolto presso una struttura pubblica, alla quale mi aveva indirizzato (e prenotato!) la struttura privata in cui feci gli altri esami. Se avessi aspettato i tempi del Cup Lazio sarei stata all’inizio, anziché alla fine, del mio percorso diagnostico!”. Questa esperienza, simile a tante altre, stride parecchio con la retorica dell’ottobre rosa che da una parte colpevolizza le donne che non si sottopongono agli screening mammografici e dall’altra non si fa carico delle inefficienze strutturali del sistema sanitario.

Il cancro al seno, poi, si presta particolarmente bene alla sua spettacolarizzazione in questo sistema patriarcale, in quanto colpisce quasi esclusivamente le donne e si possono mostrare seni sodi per una buona causa, il che lo rende perfetto anche per vendere prodotti, usando ancora una volta il corpo delle donne, attraverso quello che viene definito il “marketing sociale” (ovvero vendere prodotti associandoli ad una causa che il consumatore ha a cuore) e il pink washing (aziende che si impegnano a devolvere una parte del ricavato delle vendite per la “ricerca vendendo prodotti in molti casi contenenti sostanze potenzialmente cancerogene.
D’altra parte però quello che non si dice (e di certo non si combatte a livello istituzionale) è che viviamo in territori inquinati (per parlare del nostro territorio, Aprilia ha numerose “emergenze” ambientali, da industrie a rischio Seveso, industrie insalubri di prima classe, arsenico nell’acqua, ecc.); che per un esame diagnostico o ci rivolge al privato o si aspettano mesi o, come nel caso di Aprilia, bisogna cambiare città; che la ricerca e le cure sono assoggettate agli interessi economici (cosa di cui si vedono gli effetti anche per la sanità in generale, per non parlare dell’emergenza Covid).
Ad Aprilia, l’amministrazione illumina statue di rosa e lancia “collette” per comprare caschi refrigeranti per contrastare la perdita di capelli vantandosi di non metterci neanche un euro, affidando così una donna che volesse optare per il casco refrigerante, alla buona volontà di privati cittadini e donatori e soffermandosi solo sull’aspetto estetico, in una concezione della salute e della sanità alla “si salvi chi può”, che viene espressa in tutta la retorica dell’ottobre rosa e delle raccolte fondi “per la ricerca” basate sulla buona volontà di qualcuno che ci “dona” qualcosa a discrezione personale, quando la salute e l’accesso alle cure e alle terapie dovrebbero essere un diritto universale inalienabile.