Assia Penta:”Diventare uomo per salvarsi?”

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Assia Marina Penta, la scrittrice che trasforma il dolore in voce per la libertà

 

Trent’anni, nata a Fontanarosa (AV) e oggi a Milano, Assia Marina Penta non è solo una giovane scrittrice emergente: è una donna che ha scelto la parola come scudo e rinascita. Dopo un’aggressione subita da un ex partner, ha trovato nella scrittura la forza di trasformare il trauma in vita nuova. Nei suoi romanzi racconta storie di resistenza, identità e sorellanza, sempre con un occhio attento alle tematiche LGBT, che considera parte integrante del suo percorso umano e letterario. Eppure, nelle sue riflessioni, emerge anche un pensiero forte e scomodo: «Forse diventare uomo sarebbe più semplice». Una frase che non vuole essere una dichiarazione di identità, ma una provocazione sociale. Un modo per denunciare quanto oggi essere donna significhi ancora troppo spesso esporsi al rischio di violenza, pregiudizio e invisibilità.Abbiamo incontrato Assia per un dialogo sincero, in cui la sua voce si alterna tra fragilità e forza, memoria e futuro.

Assia, partiamo dall’inizio: quando hai capito che scrivere era l’unico modo per respirare di nuovo?

«Dopo quella notte pensavo che la mia vita fosse finita. Non uscivo di casa, non riuscivo a dormire né a mangiare. Vivevo nel silenzio e nella paura. Poi ho preso in mano una penna: scrivere è stato il mio respiro, il mio unico rifugio. Da quel momento la scrittura è diventata cura, sopravvivenza, resurrezione».

Nei tuoi libri non descrivi la violenza in sé, ma la rinascita. Perché questa scelta?

«Perché la violenza ti toglie tutto, ma non voglio che sia lei ad avere l’ultima parola. Nei miei romanzi racconto di come ci si rialza, di come si ritrova la forza di camminare insieme. Il dolore c’è, ma il centro è la guarigione, la sorellanza, l’amore che salva».

Nei tuoi scritti emerge sempre una forte vicinanza alla comunità LGBT. Cosa rappresenta per te?

«La comunità LGBT è un faro. Da loro ho imparato cosa significa vivere la propria verità senza arretrare, nonostante discriminazioni e ferite. Nei miei libri ogni amore è legittimo, ogni identità è un dono. Non puoi parlare di libertà senza includere chi ogni giorno deve lottare semplicemente per esserci».

Hai detto una frase che ha colpito molto: “Forse diventare uomo sarebbe più semplice”. Da cosa nasce questo pensiero?

«Non è un desiderio di cambiare identità, ma una riflessione amara. Oggi essere donna significa ancora dover guardarsi alle spalle, convivere con la paura di essere aggredita, sminuita, ridotta a un bersaglio. Una volta la donna era simbolo di rispetto, di cura, persino di omaggi semplici come ricevere una rosa. Oggi troppo spesso siamo percepite come corpi vulnerabili, da possedere o ferire. A volte mi chiedo: se fossi uomo, avrei meno paura? È una domanda che nasce dal contesto sociale, non dal mio essere interiore. Ma il fatto stesso di porsela dice molto sul mondo in cui viviamo».

La tua fede convive con le tue battaglie per i diritti civili. Non è una contraddizione?

«Per me assolutamente no. Gesù non ha mai chiesto “chi ami?”, ma “quanto ami?”. La mia fede mi ha dato forza e mi spinge a lottare per un mondo inclusivo. Credere non significa chiudere porte, ma aprirle. Non significa giudicare, ma accogliere».

Se dovessi lasciare un messaggio diretto a chi sta vivendo ciò che tu hai attraversato, cosa diresti?

«Direi: non è colpa tua. Non devi vergognarti. Il buio non è l’ultima pagina della tua vita. Io ho trovato la mia via nella scrittura, altri la trovano nella musica, nell’arte, nell’amicizia, o anche solo nel coraggio di chiedere aiuto. Ma nessuno è solo, anche se a volte lo sembra».

Oggi Assia Marina Penta si definisce “una sopravvissuta, una combattente gentile, e soprattutto una scrittrice”.

«Non scrivo per fama, ma per esistere. E per dare voce a chi non ha voce. La mia missione è far sentire chi legge meno solo, meno invisibile. E ricordare che da una ferita può nascere luce».