“GIACOMINO”: E’ IL LIBRO AUTOBIOGRAFICO DEI UNO DEGLI APRILIANI PIU’ IMPORTANTI E INFLUENTI

387
Giacomo Stradaioli

Scritto da Mauro Gavillucci racconta la storia di Giacomo Stradaioli

Da mezzadro a imprenditore. I segreti del successo: terra, libertà e famiglia

Giacomo Stradaioli

di Riccardo Toffoli

Tra le tante biografie e tra i tanti libri di apriliani che hanno fatto la storia della città, senza dubbio la storia di Giacomo Stradaioli è la più affascinante. Leggere il libro scritto da Mauro Gavillucci e presentato in aula consiliare sabato 22 ottobre scorso, è come viaggiare su un veliero: c’è l’incertezza della meta unita alla voglia di libertà, al desiderio di valicare sempre i confini, all’esigenza di trovare la propria vita, all’orgoglio delle proprie origini. La storia di Giacomo Stradaioli oggi si può leggere in un libro che non lascia sconti a nessuno, neppure a se stesso. Il libro si chiama Giacomino ed è il suo racconto autobiografico che di volta in volta lo scrittore Mauro Gavillucci ha trascritto ed elaborato. Il volume è completamente gratuito. È stato donato ai presenti al momento della presentazione in aula consiliare ma è anche disponibile per chi volesse leggerlo e approfondire una delle pagine più belle degli uomini che Aprilia ha avuto l’onore di avere tra i suoi cittadini. Giacomo Stradaioli ripercorre il suo passato che ha il profumo della terra, quella di quando era piccolo, nella mezzadria della famiglia nella sua bella Romagna. La terra di quando venne ad Aprilia come colono nel 1939. La terra di oggi che lui ancora coltiva con estrema cura nonostante gli 89 anni. La terra per Giacomo è la vita, è quella costante che gli dà la spinta di andare oltre i confini e che nello stesso tempo gli dà la sicurezza comunque di farcela. Giacomo non può vivere senza la sua terra e senza lavorarla con le sue mani perché la terra insegna che niente va buttato o sprecato. È una eredità della sua famiglia ma anche l’eredità che vuole lasciare alla sua. Non manca l’ironia. La si respira nel libro e chi lo conosce, la riconosce tutta. Un’ironia a volte pungente, non certo sottile. Non la manda mai a dire. Mentre risulta quasi infantile quando racconta della sua gioventù, di quando viveva in provincia di Forlì e si affastellano le storie di famiglia, alcuni momenti di vita lavorativa come la produzione dei bachi da seta. Qui sente la “fortuna” di una famiglia a mezzadria, dove quella terra è un po’ sua, dove ha la possibilità di un maiale, delle galline e delle uova. E con la stessa intensità sente la disperazione di quelli della “bassa” che lavoravano a giornata e che facevano veramente la fame. Pagine bellissime, che si leggono con piacere e che si fanno accostare ai racconti ad esempio di Antonio Pennacchi in Canale Mussolini. Nel 1939 a seguito di frane che devastarono la Romagna collinare, la sua famiglia e quella dello zio Giuseppe, il fratello più grande del padre, vennero trasferite, in qualità di coloni, nel Podere n° 2678 dell’Opera Nazionale Combattenti ad Aprilia. Neanche un anno e arriva la guerra. Con una lucidità sconvolgente, Giacomo racconta giorno dopo giorno quanto vissuto a Lanuvio presso le dipendenze di un gerarca fascista, i drammatici momenti dei bombardamenti, i ricoveri, le uscite tra lo avventuroso e l’imprudente in cerca di guadagnare qualcosa per mangiare e far mangiare. Poi si vive il ritorno in Romagna della famiglia tra il “terrore” e i “crimini” tedeschi e la voglia di combattere insieme ai partigiani per la libertà. Meravigliosi i racconti dei viaggi della famiglia, con una limpidezza unica, come se il tempo non fosse mai passato. Il profumo del pane appena sfornato. La parte successiva alla guerra è il Giacomo imprenditore, politico e capofamiglia. Tornato ad Aprilia, fa di tutto e di più, cura terre, coltiva vino e apre una fraschetta. Tutto quello che può, lui lo fa rimboccandosi le maniche per sé e per la sua famiglia. Nel progressivo spiegare del successo dell’azienda Giacomo, come detto, non fa sconti a nessuno. Neppure a se stesso. Medita apertamente con il lettore sugli errori che ammette di aver fatto, su atteggiamenti e posizioni che lui stesso non sa ancora giudicare. Ma non risparmia di omettere dei particolari della sua scalata imprenditoriale e politica e non fa mistero della sua critica al dopo Pci. Giacomo viene assunto dal Comune come cantoniere. Appreso il mestiere, decide di mettersi in proprio e di fondare l’azienda che oggi è una dei colossi a livello nazionale e una delle più grandi e storiche aziende interamente apriliane. Oltre all’asfalto, gli Stradaioli si prodigarono anche nel ramo edilizio, specializzandosi nella costruzione di centri commerciali. La carriera imprenditoriale viaggia parallela con quella politica. Stupendi i racconti di come vinse le elezioni ad Aprilia grazie all’immigrazione dei marchigiani giunti ad Aprilia in cerca di lavoro. Fu il primo ad aprire la sede del Pci ad Aprilia. Per gli apriliani di allora era il covo rosso. Appartenere a questo partito non è stato facile quando si trattava di chiedere lavoro, ad esempio alle industrie americane che installavano i propri impianti sul territorio grazie alla Cassa del Mezzogiorno. Ma lo stesso è capitato quando ha messo in moto l’azienda. Il suo “bollino rosso” era segnato ovunque e ovunque gli chiudeva porte. Poi ci sono le pennellate di colore con i dirigenti dell’allora Pci come Berlinguer o Ingrao, quadri d’autore e ricchi di gustosi particolari. Quindi c’è il periodo istituzionale di quando venne eletto nel consiglio provinciale dove non manca di fare autocritica al partito e a se stesso ma si vanta almeno di aver fatto costruire il ponte di Campo di Carne. Onnipresenti gli amici di sempre. Quelli che ogni tanto lo aiutavano nelle “imbeccate” lavorative. Ci sono le pagine del suo ingresso nella Bpa, la rottura con l’ala democristiana del direttivo. E poi ci sono i compagni di “lotta”, perché la lotta politica era anche fisica a quei tempi. Infine c’è la vita privata e la sua famiglia che insieme alla terra è un qualcosa a cui non riesce a fare a meno. La sua grande casa di via Isarco, il suo essere capofamiglia in grado di assumersi le responsabilità di quel focolare allargato, sicuramente anch’esso eredità delle origini romagnole. Il suo legame forte con la mamma. Giacomo non nasconde nulla, anche i dolori, le divisioni e i rimpianti. Le difficoltà in famiglia e un’azienda di mandare avanti in maniera forte. Poi l’ultimo capitolo della sua vita: il ritorno alla terra, dopo aver lasciato tutto. Il libro è veramente un viaggio avvincente lungo la carriera e la storia di un apriliano che si è fatto da solo nella vita, che non deve dire grazie a nessuno se non a se stesso e alle sue mani. È la storia di un uomo che ha scelto di essere libero fino alla fine. Che ha pagato a caro prezzo la scelta di questa libertà. “Se tu fossi stato democristiano o socialista, saresti più o meno a livello della Salini” –gli ripetevano del resto tutti. E per questo Giacomo rappresenta oggi un bellissimo modello per i giovani ai quali lui stesso dice di provarci, anche se il mondo è cambiato e le possibilità di una scalata sociale sono più difficili. “Il libro che ho scritto –spiega Mauro Gavillucci- vuole lasciare una traccia, un percorso di vita, un esempio nel bene e nel male ai figli e ai parenti e a tutti noi. La storia di Giacomo è una storia universale. Può interessare a qualsiasi uomo perché racchiude il senso della vita. Una famiglia di mezzadri romagnola nelle colline forlivesi che lavorano per sopravvivere, ha avuto la fortuna di avere un maiale, le galline e le uova al contrario dei salariati della bassa che lavoravano a giornata. È una prima fortuna a cui ne seguono altre fino al successo imprenditoriale. Giacomo vive la difficoltà di essere comunisti. Lui è sicuramente il perno della famiglia Stradaioli. Ancora oggi va in giro con la macchina, in campagna, nei cantieri a vedere e controllare. Lo fa perché è così anche se ormai da oltre dieci anni non ha più nulla. A quasi 90 anni dimostra grande vitalità, direi unica, e mantiene un grandissimo entusiasmo a livello politico nonostante da Occhetto che ha bacchettato pubblicamente, non si sente più pienamente in sintonia”.