APRILIA – Un accordo criminoso tra politica e clan

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La relazione del ministro dell’Interno sullo scioglimento del Consiglio comunale di Aprilia: dagli appalti alle candidature, le case popolari, i beni pubblici. Il caso del supermercato da far costruire sul terreno destinato a una scuola

Un Comune occupato nei suoi settori nevralgici. Nella relazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, notificata a tutti gli ex consiglieri comunali, ci sono tutte le motivazioni alla base dello scioglimento del Consiglio comunale di Aprilia per infiltrazioni mafiose. Quattro pagine che riassumono sei mesi di lavoro della commissione d’accesso, nominata dal prefetto di Latina dopo l’operazione Assedio, che il 3 luglio scorso ha portato all’arresto di 23 persone, tra cui l’allora sindaco Lanfranco Principi, e alla scoperta di un “sistema Aprilia” capace di condizionare l’attività amministrativa.

Il ministro parla di “Forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione locale, nonché il buon andamento e il funzionamento dei servizi con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica e degli interessi della comunità”, ma anche di “disordine amministrativo”.

Piantedosi ha basato la sua relazione, che ha portato il Governo a sciogliere il Consiglio comunale per 18 mesi, sulla dettagliata ricostruzione del prefetto di Latina che in 60 pagine ha portato le prove di ingerenze, intromissioni negli appalti pubblici, pressioni e malefatte non solo dell’organo politico, ma anche della macchina amministrative. Una relazione in cui tutte le persone coinvolte sono coperte da “omissis”. Quel che importa sono non le responsabilità soggettive, su cui farà piena luce la magistratura, ma le conclusioni a cui è arrivata la commissione d’accesso. Tutti d’accordo – forze dell’ordine, antimafia, prefettura – sulla “sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi”. La relazione ricostruisce la presenza di cosche mafiose di matrice soprattutto calabrese e del loro “stabile inserimento del sodalizio nei gangli della pubblica amministrazione e nel tessuto economico della città, operando nei circuiti legali per mezzo di imprese riconducibili alla consorteria, mirando ad acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e, comunque, il controllo di attività economiche, di appalti e servizi avvalendosi dell’ausilio di esponenti delle pubbliche istituzioni locali”. Il prefetto di Latina ha spiegato come l’amministrazione comunale sciolta nel 2024 sia “in assoluta continuità con la precedente consiliatura (2018-2023), particolarmente riguardo alle figure di vertice della compagine, atteso che il sindaco aveva ricoperto il ruolo di vicesindaco e assessore nella precedente giunta”. E ancora: “Le risultanze investigative hanno fatto emergere per buona parte degli amministratori, oltre che per alcuni dipendenti dell’ente, legami di parentela o solide frequentazioni con soggetti appartenenti o vicini alla locale criminalità”.

LE FIRME PER UNA LISTA DEL SINDACO – La relazione del prefetto si sofferma in particolare su un “pactum sceleris” (letteralmente “accordo criminoso) tra politica e mafia confermato nelle elezioni del 2023. Le prove documentali – come firme di parenti di noti mafiosi nella presentazione delle liste collegate al sindaco che poi ha vinto le elezioni, finanziamenti elettorali sospetti e testimonianze raccolte nelle indagini DDA – indicano che l’influenza della criminalità organizzata sarebbe stata non marginale. Secondo le indagini, alcuni candidati sarebbero stati proposti direttamente da esponenti del clan, che avrebbero esercitato pressioni e raccolto voti con metodi coercitivi. In cambio, sarebbe stato promesso un atteggiamento “remissivo” da parte degli eletti nei confronti delle imprese legate alla cosca. Il documento richiama le parole del Consiglio di Stato: «Il fatto che il consiglio comunale sia, anche solo in parte, espressione dell’appoggio elettorale mafioso dato ad una lista o a un’altra, quale contributo determinante della mafia nel condizionare il voto popolare, “è tale da inficiare irrimediabilmente funzionamento dei consiglio comunale per un suo vizio genetico, essendo difficilmente credibile che un consiglio comunale i cui componenti siano eletti in parte con l’appoggio della mafia, per una singolare eterogenesi del fini, possa e voglia adoperarsi effettivamente, non solo per mero perbenismo legalitario, per il ripristino di un’effettiva legalità».

“Rapporti parentali, diretti o indiretti, con esponenti criminali (…) vengono rilevati anche nei riguardi di dipendenti comunali e delle società partecipate, alcuni di questi direttamente gravati da precedenti penali”, si legge ancora.

LE CASE POPOLARI – Un capitolo viene dedicato agli alloggi popolari: “sono emerse numerose criticità connesse a situazioni di morosità diffuse protratte nel tempo e carente attività di vigilanza e controllo sotto il profilo amministrativo e contabile, finalizzate al mantenimento dei privilegi acquisiti dagli occupanti abusivi, tra cui figurano soggetti imparentati con appartenenti al sodalizio criminale”, spiega la relazione. “Irregolarità” e “opacità gestionali” anche nella concessioni in uso di immobili comunali e impianti sportivi, riconducibili “a difficoltà oggettive riferite dagli stessi dipendenti del settore preposto e attribuite ad ostacoli frapposti dagli amministratori”.

Secondo quanto accertato dalla Commissione d’accesso, un immobile di proprietà dell’Ater risultava assegnato a una persona poi dichiarata decaduta dal diritto all’alloggio, quando emerse che la convivente era proprietaria di un’abitazione di ben 11 vani. Oggi è occupato dalla badante dell’ex assegnatario, che ha dichiarato alla Polizia Locale, durante un sopralluogo, di essere entrata in casa prima del decesso del suo assistito. L’Ater ha formalmente diffidato l’attuale occupante a liberare la casa. Questo episodio, per quanto significativo, è solo un frammento di un sistema più ampio che, secondo la Commissione, “non è in grado di assicurare, sotto il profilo amministrativo e contabile, un’adeguata attività di vigilanza e controllo su beni assegnati mediante procedure pubbliche”. Una dipendente dell’ufficio competente ha dichiarato alla commissione che «l’Ufficio non ha mai svolto accertamenti per quanto riguarda la sussistenza e la permanenza dei requisiti soggettivi» degli assegnatari. E ha ammesso: «Se avessi conoscenza di soggetti riferibili alla criminalità organizzata che occupano immobili comunali, non saprei che iniziativa assumere perché non c’è una procedura specifica per tali ipotesi». Non si tratta di casi isolati. Secondo quanto riportato nella relazione ispettiva, tra gli assegnatari regolari figurano anche parenti stretti di soggetti coinvolti nell’indagine “Assedio”. E il dato più allarmante, sottolinea la Commissione, è che “la situazione di illegalità accertata nei confronti di soggetti indagati o imparentati con appartenenti al sodalizio mafioso non sembrerebbe limitata ai soli casi illustrati”.

IL CHIOSCO DELLA PISCINA – Viene citato l’esempio del chiosco bar all’interno della piscina comunale estiva affidata alla gestione dell’azienda speciale del comune. “Da verifiche in loco della guardia di finanza e dagli accertamenti dell’organo ispettivo risulta che il suddetto punto di ristoro è gestito, di fatto, da un membro di una nota famiglia criminale nonché affine del capo clan del locale sodalizio apriliano in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative e sanitarie”. “Tale situazione di conclamata illegalità, come evidenziato dal prefetto, è risultata non solo nota ma anche avallata dagli organi di vertice dell’amministrazione”.

LA GESTIONE DEGLI APPALTI – Il sistema di gestione degli appalti era “basato su un ricorso ingiustificato agli affidamenti diretti, molto spesso a favore delle medesime ditte riconducibili ai sodali o a soggetti ad essi contigui, in cui veniva sistematicamente omesso l’inserimento degli aggiudicatari nel portale di Anac della Banca Dati Nazionale Contratti Pubblici, cosi da rendere impossibile ogni controllo successivo, e in cui le tempistiche dei pagamenti dei corrispettivi venivano ridotte in favore di quegli operatori economici”. Attraverso l’analisi delle fatture emesse dalle società è emerso che “a fronte di un numero esiguo di aggiudicazioni inserite nel portale di Anac, l’autorità anticorruzione, il numero degli affidamenti è stato ben più elevato, per importi rilevanti, principalmente riguardanti lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, interventi di messa in sicurezza di strade comunali ed edifici, gran parte dei quali avrebbero potuto essere affidati ad un’azienda speciale dell’ente”.

La Commissione di indagine ha poi passato in rassegna i rapporti contrattuali intercorsi nell’arco temporale 2018 – 2024 fra il comune e diverse imprese, direttamente o indirettamente riconducibili al sodalizio apriliano, “per la maggior parte delle quali le richieste di verifica della documentazione antimafia non erano state inoltrate alle competenti prefetture e sono state presentate dopo l’esecuzione dell’operazione Assedio”. Emerge dunque la carenza di controlli antimafia sulle società a cui venivano affidati gli appalti. La commissione d’indagine ha rilevato inoltre “la costante presenza negli uffici comunali dei titolari delle imprese – in particolare quelli contigui o intranei al sodalizio criminale – la scarsa trasparenza e tracciabilità delle procedure con particolare riguardo alle modalità di scelta del contraente, la sistematica ingerenza degli esponenti politici nelle scelte gestionali al fine di favorire le richiamate imprese”.

Nella relazione è citato “il pagamento di una fattura fiscale avente ad oggetto l’anticipazione del 20% dell’importo contrattuale per interventi di rigenerazione urbana finanziati con i fondi del Pnrr”, interventi appaltati ad un consorzio che aveva affidato l’esecuzione dei lavori ad una sua consorziata a cui è stato erogato il pagamento “grazie all’intervento personale dell’amministratore unico della stessa società consorziata, imparentato strettamente con un soggetto ritenuto promotore e organizzatore del sodalizio criminale apriliano”. Si parla poi del trasporto pubblico locale affidato “a un imprenditore grande elettore” che avrebbe avuto accesso al bando di gara prima della sua pubblicazione, ma emerge anche “la posizione del segretario verbalizzante, il quale ha dichiarato di ignorare i fatti e di non essere stato presente al momento finale dell’attribuzione dei punteggi, in aperta contraddizione con i doveri dell’incarico assunto”.

IL DISINTERESSE PER I BENI CONFISCATI – Evidenziato il “disinteresse nell’acquisizione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, attraverso “l’immotivata assenza dalle conferenze di servizi indette nel 2023 dall’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata per l’assegnazione di diversi immobili, anche di pregio, fra cui un immobile confiscato ad un membro della sopracitata famiglia criminale. Ciò ha impedito alla collettività apriliana di fruire di beni sottratti ai patrimoni illeciti, disconoscendone la valenza simbolica e, quindi, In spregio ai principi fondamentali che fondano l’azione di contrasto alla criminalità organizzata”. “Analoghe criticità sono state, infine, riscontrate nella riscossione delle entrate tributarie e dei canoni concessori, rispetto alla quale è stata segnalata una diffusa approssimazione che ha contribuito a creare i presupposti di una condizione finanziaria delicata, in parte attribuibile anche all’insussistenza di un meccanismo di controllo esterno che consentisse di verificare l’effettivo pagamento delle entrate comunali da parte dei contribuenti, situazione ben nota ai vertici politici e burocratici che si inserisce in un contesto caratterizzato da sacche di grave evasione”.

IL SUPERMERCATO SUL TERRENO PER LA SCUOLA – Entra a gamba tesa, tra le cause dello scioglimento del consiglio comunale di Aprilia per condizionamenti mafiosi, la vicenda di un cambio di destinazione d’uso di alcuni terreni dedicati a servizi, ma che avrebbero ospitato un supermercato e un fast food. “Un significativo indice di concreta compromissione dell’attività amministrativa in favore della logica mafiosa – si legge nella relazione del prefetto di Latina inviata al ministro dell’Interno – è stato rinvenuto nella vicenda relativa alla realizzazione di medie strutture di vendita in zona F1 del Piano Regolatore Generale, oggetto di due diverse deliberazioni del consiglio comunale, la prima nel 2022, la seconda nel 2024 sotto l’ultima amministrazione eletta, in cui è apparsa evidente l’influenza esercitata nei confronti dell’amministrazione comunale da parte di imprenditori vicini alla criminalità organizzata”. E quindi la relazione, frutto dei sei mesi di lavoro della commissione d’accesso tra l’agosto 2024 e il febbraio 2025, ricorda come “Il Consiglio comunale proponeva un adeguamento delle norme tecniche di attuazione del Prg per la localizzazione delle medie strutture di vendita prevedendo la possibilità di attivare le medie strutture di vendita anche nelle zone F1 e nelle nuove sottozone commerciali già approvate e regolamentate alla data della deliberazione”. In entrambe le deliberazioni – l’ultima delle quali corredata del parere favorevole di regolarità tecnica reso dal dirigente del settore Urbanistica, al contempo dirigente del settore lavori pubblici – veniva “ammessa la possibilità di localizzare strutture medie di vendita in aree a destinazione d’uso pubblico locale, segnatamente adibite a scuole elementari, senza approvare alcuna variante ai sensi della normativa urbanistica vigente, sulla scorta di un mero atto d’indirizzo interpretativo”. Un atto che, secondo il prefetto, era “volto ad eludere le attuali specifiche indicazioni di destinazione d’uso previste dal Piano, reputate indicative e non vincolanti al fine di consentire ad un’impresa contigua al sodalizio criminale apriliano di presentare due istanze di permesso di costruire per la realizzazione di fabbricati da adibire ad esercizi di somministrazione di bevande e vendita alimentare.” E infatti qualche mese dopo, una società avrebbe ricevuto 120 mila euro “su disposizione della consorteria mafiosa” per stipulare con i proprietari delle particelle ricadenti in una zona F1 del Comune “un contratto preliminare di vendita subordinato al rilascio del permesso a costruire da parte degli uffici preposti”.

Peccato che qualcosa è andato storto. Sono stati richiesti due permessi a costruire, uno per un supermercato e un altro per un fast food. Entrambe hanno ricevuto parere non favorevole dal dirigente. “La variazione di specifiche destinazioni d’uso delle suddette aree a standard, da “scuola elementare” a “commerciale”, non risulta ammissibile per attuazione diretta e automatica degli indirizzi genericamente indicati nella delibera, in quanto necessiterebbe di variante con opportuna valutazione dell’interesse pubblico”, spiegò il dirigente nel dire no. E adesso è tutto fermo.